Giornata mondiale del rifugiato, l’Onu chiama Eat Offbeat: rifugiati-chef mettono sul piatto la propria cultura

“Non soltanto vittime, ma anche portatori di un contributo” umano e sociale. Così il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon ha definito lunedì, nella giornata mondiale del rifugiato, gli uomini, le donne, gli anziani e i bambini che trovano protezione in un Paese diverso da quello di origine, afflitto da guerre e terrorismo. Un contributo che è anche genuino e gustoso, quando passa dai fornelli alla tavola. Ne sanno qualcosa i 12 rifugiati-chef di Eat Offbeat, l’azienda di catering fondata dai libanesi Wissam (sotto, la video-intervista) e Manal Kahi nel 2013. Oltre 30 ricette, “ma il numero cresce ogni giorno”, per portare a New York, sul piatto di chi chiama, i sapori e la cultura di terre lontane oceani. Lunedì 20 giugno le loro creazioni hanno raggiunto il quartier generale delle Nazioni Unite.

L’idea di Eat Offbeat è nata quando Manal, arrivata a New York per raggiungere il fratello Wissam, ha assaggiato per la prima volta l’hummus in vendita al supermercato vicino casa: non esattamente quello a cui la nonna siriana l’aveva abituata. Così ha cominciato a produrlo lei, con il plauso di amici e colleghi. “Dobbiamo aprire un ristorante e iniziare a vendere”, scherzava Wissam, che con la sorella ha dato vita e forma al progetto: “Manal ha pensato che le persone più adatte a cucinare l’hummus fossero i rifugiati siriani nel nostro Paese. In Libano ce ne sono oltre due milioni”.

Non solo hummus e non solo Siria, dunque. Se ogni rifugiato è portatore di un gusto e di una tradizione, allora l’essenza dell’idea sta nel valorizzare la passione culinaria e i talenti dei rifugiati, salvaguardando le loro diversità e dando loro un’occasione di riscatto: “E’ un concetto unico: possiamo offrire menù variegati. Possiamo fare un antipasto del Nepal, un primo tipico iracheno o siriano”, afferma orgoglioso il fondatore dell’attività, che parla fluentemente italiano dopo gli anni passati al Politecnico di Milano, dove ha studiato Ingegneria delle telecomunicazioni, e a Roma.

La selezione degli chef è avvenuta grazie all’International Rescue Commitee, a cui Wissam e Manal si sono affidati per conoscere i rifugiati interessati alla mondo della cucina. La selezione attraverso i palati dei Kahi e di chef Juan Suarez de Lezo, esperienze in ristoranti stellati Michelin: “E’ stato meraviglioso”, continua Wissam, sottolineando la qualità del food e le capacità dei rifugiati. “Alcuni di loro adesso hanno trovasto lavori in ristoranti buonissimi. Noi siamo tristi che devono andare, ma anche per loro è stata un’esperienza fantastica”.

E mentre il nome dei rifugiati-chef cresce, cresce anche la fama e la struttura di Eat Offbeat: ora strizza l’occhio alla produzione di prodotti secchi, all’espansione in altre città americane e europee, e all’apertura di un vero e proprio ristorante.