Nel Paese dei cedri sono oltre un milione e settecentomila i profughi siriani e iracheni di cui le grandi potenze e l’Europa sembrano essersi totalmente dimenticati.
Quello che mai i nostri telegiornali porteranno nelle nostre case, a proposito di quanto avviene e del perché avviene sui teatri di guerra del Medioriente, lo ha spiegato in una seguita conferenza giovedì sera, 26 Maggio, presso l’Oratorio di Grosio, padre Damiano Puccini, sacerdote pisano, dal 2003 in Libano presso la comunità di Damour, una cittadina a sud della capitale Beirut.
Ripercorrendo la triste parabola cha ha interessato quella comunità cristiano-maronita in cui opera e che ha vissuto sulla propria pelle tutte le contraddizioni del Medioriente – nel 1976 i massacri compiuti dai profughi palestinesi, nel 2006 i bombardamenti israeliani nell’ambito della guerra tra Israele e Hezbollah, i frequenti soprusi siriani che si comportavano da padroni – padre Damiano, senza mai addentrarsi in un discorso politico, è riuscito a far comprendere più di tanti analisti dei nostri media, le dinamiche delle diverse guerre che si sono succedute nell’area, dove i due grandi leader dell’islam sciita, l’Iran, e di quello sunnita, l’Arabia Saudita, non permettono il consolidarsi di altri Paesi nella regione e dove la presenza cristiana si va via via estinguendo.
Ne è testimone la comunità cristiana di Damour, ridottasi dagli oltre 30.000 fedeli del 1976 agli attuali poco meno di duemila, pur in un paese, il Libano, in cui la coesistenza tra le religioni monoteiste ha una sua istituzionalizzazione anche a livello politico, che i papi Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno indicato come possibile modello di convivenza pacifica per l’intero Medioriente e non solo.
In questo travagliato scenario s’innesta l’opera missionaria di padre Damiano, che con i suoi giovani, non solo cristiani, raccolti nell’Associazione Oui pour la Vie (Sì per la vita), si è impegnato nell’assistenza dei più poveri.
Oggi i più poveri in quella comunità sono i profughi siriani, quelli che non hanno i mezzi per tentare i viaggi della speranza verso l’Europa che ogni sera vediamo in televisioni. Quelli che padre Damiano assiste con i suoi generosi giovani, generosi del loro tempo, della loro disponibilità ma anche dei loro beni, visto che riservano un terzo delle loro stipendio all’assistenza, sono profughi che hanno letteralmente perso o abbandonato tutto (commovente l’episodio ricordato da padre Damiano della bambina che nella fuga ha voluto ritornare in casa a riprendersi il piccolo crocefisso della Prima Comunione) per fuggire gli orrori della guerra e sono accolti a Damour in sistemazioni di fortuna dove manca tutto, dalle scarpe ai vestiti e al cibo. In tutto il Libano sono oltre un milione e settecentomila i profughi siriani e iracheni di cui le grandi potenze e l’Europa sembrano essersi totalmente dimenticati.
Il messaggio più forte che padre Damiano ha portato è però un messaggio di perdono che permea l’opera dei cristiani, portatori, anche nei simboli esteriori che noi europei siamo sempre pronti a mettere in disparte, di una fede radicata e temprata dalle asperità, impegnati nell’assistenza di quelli che erano i persecutori di ieri, i palestinesi, o quelli, i siriani, che solo qualche anno prima erano venuti da padroni in territorio libanese a sottrarre il posto di lavoro ai locali.
Oggi, a Damour nella piccola comunità di padre Damiano, libanesi, siriani, iracheni e palestinesi, cristiani e musulmani, sembrano tutti aver riscoperto una solidarietà che trova manifestazione nella concretezza della vita quotidiana: che sia il dono di un capo di vestiario, di un medicinale o di un pasto. Come quelli che vengono preparati quotidianamente, circa trecento, nella piccola cucina allestita dai volontari di padre Damiano.