La musica come cura alle ferite del corpo e dell’anima, la musica come mezzo per ritrovare un’identità culturale, un terreno comune su cui ricostruirsi come popolo. È il progetto di cooperazione internazionale Music & Resilience, presentato oggi da Alce Nero a Bologna, che porta la musicoterapia all’interno dei campi profughi all’interno del Libano.
Un paese da quattro milioni di abitanti che ospita 1,2 milioni di rifugiati siriani (ufficialmente registrati) più 400mila profughi palestinesi che qui vivono sin dalla nascita dello Stato Ebraico nel 1948. Di loro si occupa la ong Assumoud, che attraverso l’introduzione della musica nei campi vuole provare a ricostruire quel senso di identità culturale negato. “La musica è un atto politico, a sostegno di un popolo che deve ritrovare la capacità di reagire e avere una voce propria – spiega Deborah Parker, coordinatrice del Music & Resilience -. La musica è anche un diritto, un’opportunità di sviluppo culturale, portatrice di un terreno comune di valori ed esperienze che se viene a mancare può creare grandi problemi”.
A fronte di un contesto socio-politico ed eventi che minacciano l’equilibrio psicofisico degli individui e della loro comunità, il tramandarsi musiche ecanzoni aiuta così a salvaguardare un senso di identità e appartenenza culturale. Per questo il progetto Music & Resilience cerca nuovi volontari, raccoglie strumenti musicali usati e recluta insegnanti di musicoterapia che in Libano non esistono; avviando il progetto Mars, con sede a Montespertoli (Fi), per formare musicisti, educatori, operatori sociali che possano raggiungere gli altri volontari nei campi profughi libanesi.