L’attentato terroristico avvenuto il 27 giugno nel villaggio cristiano di al Qaa, nel nord del Libano, dove otto attentatori suicidi si sono fatti esplodere in varie zone provocando cinque morti, ha diffuso il timore, sia nella popolazione che nel mondo politico, di nuovi attacchi che potrebbero destabilizzare il paese. L’esercito libanese sta svolgendo le indagini per far luce sull’azione ed evitare che si registrino altri episodi analoghi in altre zone del paese. Parallelamente, come sostiene la stampa libanese, sembrerebbe che l’attentato possa imprimere una svolta alle alleanze politiche libanesi e superare l’impasse che da oltre due anni non ha di fatto consentito di eleggere il nuovo presidente della repubblica. Come ha ribadito più volte il presidente del parlamento, l’elezione del presidente della repubblica è una priorità per la stabilità del paese.
Anche nel corso dell’ultima seduta parlamentare, la numero 41, il parlamento libanese non ha raggiunto il quorum necessario (86 su 128) per l’elezione del presidente della Repubblica, a causa del boicottaggio dei deputati della coalizione dell’ 8 Marzo, filo-iraniani. I principali candidati alla presidenza, Michel Aoun e Suleiman Franjieh, sono stati tra gli assenti alla seduta del 24 giugno scorso. Dalla fine del mandato dell’ex presidente Michel Suleiman, avvenuta nel maggio del 2014, i parlamentari si sono incontrati oltre 40 volte, senza mai trovare un accordo sul futuro candidato alla presidenza della repubblica. Il presidente del parlamento, Nabih Berri, ha aggiornato la seduta al 13 luglio prossimo. Come fanno notare gli analisti, la seduta numero 42 del parlamento sarà influenzata dall’attentato di al Qaa.
Berri ha dichiarato che “l’intesa e il dialogo sono nell’interesse del paese” e ha precisato che non ci sono alternative alla democrazia consensuale. Rivolgendosi direttamente a due fazioni politiche rilevanti nello scenario politico libanese, Berri ha detto: “La Corrente del Futuro ed Hezbollah non facciano passare il tempo e cerchino di ridurre le tensioni e mettersi d’accordo nell’interesse del paese”. Il presidente del parlamento ha ribadito che l’elezione del presidente della repubblica rimane una priorità per il paese, ma prima di tutto bisogna elaborare una nuova legge elettorale e dare vita a un governo di unità nazionale.
A rendere critica la situazione istituzionale in Libano anche la decisione del partito libanese maronita Kataeb, guidato da Sami Gemayel, di uscire dal governo, avvenuta subito dopo l’attacco contro la sede della “Blom Bank” di Beirut, lo scorso 12 giugno. Tra le ragioni che hanno spinto Gemayel a far dimettere due dei ministri del suo partito, quello del Lavoro e quello dell’Economia, la mancata capacità del governo guidato dal premier Tammam Salam di risolvere alcune questioni “cruciali”.
“Per un po’ di tempo hanno cercato di soffocare il nostro parere attraverso meccanismi di governo”, ha aggiunto Gemayel riferendosi alle responsabilità di alcuni membri dell’esecutivo. “Loro non sono interessati a proteggere il settore bancario contro gli attacchi verbali e non si preoccupano del piano economico che è stato presentato dal ministro dell’Economia”, ha sottolineato Gemayel, il quale ha denunciato che “il metodo politico del governo non rappresenta” il partito.
“Noi vogliamo lavorare secondo i nostri principi. Noi siamo contrari al principio del boicottaggio. Per questo ritengo che il popolo libanese abbia messo nelle nostre mani e in quelle dei cristiani e dei musulmani il destino del paese per avere il cambiamento nell’interesse di tutti i libanesi”, ha sottolineato Gemayel.
Il presidente di Kataeb ha inoltre spiegato che il suo partito è entrato in questo governo difendere le istituzioni e contro il vuoto politico e istituzionale: “Speravamo che la legislatura fosse breve e per questo avevamo accettato di entrare nel governo, non certo per partecipare ad uno scontro. Abbiamo lavorato su ogni questione e siamo riusciti a ottenere risultati in diversi campi, fermando gli errori e combattendo la corruzione. Abbiamo combattuto la mentalità delle limitazioni e fermato la mano della Siria e di altri. Pensiamo di aver difeso lo stato al massimo, nel periodo nel quale abbiamo lavorato, ma alcuni intendono circondarci tramite strumenti governativi”.
Per il politico libanese “non c’è stata la possibilità di trovare una soluzione al problema dei profughi siriani o alla crisi del settore bancario”, che di recente rischia di subire sanzioni dai paesi stranieri, in particolare dagli Usa per le attività bancarie legate al movimento sciita Hezbollah. Secondo alcuni esponenti del panorama politico libanese, lo stallo presidenziale è provocato sia dal boicottaggio alle sedute da parte del movimento di Hezbollah, ma anche dal disaccordo tra i diversi partiti.
Nell’ambito delle iniziative per superare questa crisi che da due anni impedisce l’elezione del nuovo presidente della repubblica, il capo delle Forze libanesi, Samir Geagea, e il leader del movimento per il Futuro (al Mustaqbal in arabo), Saad Hariri, si sono incontrati per trovare un accordo. Come riferisce il quotidiano “L’orient et le jour”, i due leader si sarebbero detti pronti a raggiungere il quorum in parlamento e consentire l’elezione del presidente e avviare il dialogo con le altre componenti politiche.
I rapporti tra Geagea e Hariri sono tiepidi da diversi mesi perché ci sono delle divergenze sul candidato presidenziale. Geagea infatti sostiene la candidatura di Michel Aoun, fondatore della Corrente patriottica libera e capo del blocco parlamentare “Cambiamento e riforma”, mentre l’ex-premier Hariri propone Suleiman Franjieh, leader di Marada. Al centro dei colloqui tra Geagea e Hariri anche la proposta di una nuova legge elettorale, elaborata anche con il partito socialista progressista. Il nuovo scrutinio dovrebbe essere un maggioritario-proporzionale.
Nel frattempo, l’esercito libanese ha sventato due attentati di vasta portata pianificati dallo Stato islamico per colpire aree turistiche e zone residenziali nei pressi della capitale Beirut. Secondo quanto riferito dall’emittente locale “Voice of Lebanon”, le operazioni condotte dalle forze di sicurezza sono iniziate in maggio, ma il risultato è stato rivelato solo adesso per evitare di causare il panico. Secondo i media libanesi, gli attacchi dovevano colpire il Casino du Liban di Jounieh, nota città turistica situata sulla costa a circa 16 chilometri a nord di Beirut, e il City Center Mall, importante centro commerciale della sobborgo orientale della capitale libanese di Hazmieh.
Le notizie di potenziali attentati volti a colpire luoghi e strutture turistiche hanno suscitato forti preoccupazioni. Secondo quanto riferisce il quotidiano libanese “The Daily Star”, la federazione che raccoglie i ristoratori ha diffuso un comunicato per condannare il clima di panico scaturito dai messaggi di imminenti attentati contro strutture turistiche, invitando la popolazione a considerare solo quanto comunicato dalle istruzioni di sicurezza emesse dalle autorità competenti. Secondo quanto riferisce il sito d’informazione “Naharnet”, la situazione legata alla sicurezza del paese starebbe diventando sempre “più difficile” perché alcuni rapporti affermano che i terroristi stiano utilizzando nuove tecniche per condurre gli attentati, facendo giungere gli attentatori da altri paesi.
Una fonte citata dal quotidiano “As Safir” precisa che il pericolo proviene non solo dalle cosiddette cellule dormienti che si trovano già in Libano e che sono controllate dall’intelligence del paese, ma anche da attentatori che giungono da paesi confinanti. Dalle indagini condotte dalle autorità libanesi è emerso che sette degli attentatori avessero un passaporto siriano e provenissero da Raqqa. L‘identificazione dei kamikaze ha permesso di escludere le ipotesi circolate in un primo momento, secondo le quali a compiere il gesto sarebbero state dei profughi siriani che si trovano in Libano.
Secondo i media locali, le autorità regionali hanno invitato i rifugiati siriani residenti nella zona a non lasciare le loro abitazioni per ragioni di sicurezza. Infatti sarebbero centinaia di militanti dell’Is che in questi anni si sono infiltrati nel nord est del Libano, soprattutto nella città di Arsal, a maggioranza sunnita, dove anche i miliziani di al Qaeda hanno trovato rifugio. Dall’inizio della guerra in Siria il Libano è stato ripetutamente scosso da azioni compiute dai militanti islamici attivi oltre il confine. Il più grave attentato è avvenuto lo scorso 12 novembre 2015 a Beirut quando due attentatori suicidi si sono fatti esplodere in una strada affollata del quartiere di Burj al Barajneh, nota roccaforte di Hezbollah, uccidendo 45 persone e ferendone oltre 200. L’attacco è stato in seguito rivendicato dallo Stato islamico.
L’instabilità crescente in Libano non coinvolge soltanto la popolazione e le istituzioni locali. Lo scorso 29 giugno il presidente del parlamento libanese, Nabih Berri, avrebbe ricevuto informazioni in merito ad un piano per colpire i militari della Forza di interposizione in Libano delle Nazioni Unite (Unifil). Secondo quanto riporta il quotidiano libanese “As Safir”, Berri avrebbe sottolineato che l’esercito ha arrestato alcuni dei militanti coinvolti nel piano, precisando di essere venuto a conoscenza di tali informazioni per poi prendere le relative misure di sicurezza. A differenza di altre aree del paese, il Libano meridionale è stato risparmiato da assalti e attacchi condotti da terroristi provenienti dalla Siria, che in questi mesi hanno colpito soprattutto i quartieri a maggioranza sciita di Beirut, il Libano orientale e l’area nord orientale.
In un discorso pronunciato all’indomani dell’attacco di al Qaa, Berri ha sottolineato: “Quanto accaduto dimostra che per affrontare la minaccia terroristica vi è bisogno dell’unità di tutto il popolo libanese. Anche se non vi è accordo su questioni controverse dobbiamo però unirci almeno di fronte a questo tipo di veleno che rappresenta una minaccia per tutti”. Il presidente del parlamento e leader del partito sciita Amal ha inoltre sottolineato che la cittadina cristiana oggetto della serie di attacchi è un luogo simbolico perché rappresenta il tessuto sociale del Libano. Per Berri occorre impedire ai militanti di estendere il conflitto tra sunniti e sciiti anche al resto del paese, come stanno cercando di fare nella città di Arsal.