Emiliano Sinopoli – Città del Vaticano
Il 4 settembre scorso centinaia di profughi siriani in Libano sono rientrati in Siria in trasferimenti organizzati dai servizi di sicurezza libanesi in cooperazione col governo di Damasco. Lo riferiscono l’agenzia ufficiale libanese Nna e la Sana, agenzia governativa siriana. Secondo le fonti, 200 civili tra cui donne e bambini si sono diretti dalla città di Tripoli, porto nel nord del Libano, verso il confine con la Siria al valico di Abbudiye. Sono stati trasferiti nella zona di Homs, nella Siria centrale. Le forze di sicurezza libanesi hanno organizzato altri trasferimenti di rifugiati dalla zona di Shabaa e di Nabatiye nel sud del Libano e dal Metn, regione vicina alla capitale Beirut. Nei mesi scorsi, le autorità libanesi avevano annunciato l’intenzione di coordinarsi con Damasco per facilitare il ritorno in patria di migliaia di siriani. La situazione resta comunque problematica e sono ancora poche le famiglie tornate in patria. Problemi anche in Libano, dove dal 2011 vivono più di un milione di profughi siriani su una popolazione libanese di poco meno di quattro milioni. L’economia è ormai al collasso la situazione di sopravvivenza è al limite.
Questo accordo di rimpatrio dei profughi siriani può rappresentare un primo passo verso una situazione di stabilità in Libano? Ci risponde da Beirut padre Paul Karam, presidente di Caritas Libano
R. – Non posso né confermare né negare: il problema è che il grande numero dei profughi è un peso sulla società libanese così come sulla vita. L’accordo che è stato fatto con la sicurezza generale e il governo libanese riguarda l’assicurare il ritorno di coloro che vogliono farlo. Sicuramente quando questo sarà completo, ci sarà una realtà molto positiva sia per il Libano che per i profughi siriani.
Ci può spiegare come si sono svolte le operazioni di rimpatrio?
R. – Sono rientrati attraverso la frontiera libanese-siriana con i pullman; questo lo abbiamo visto in tv. È stato anche raccontato dai media.
Il Libano in questi anni di conflitto con oltre un milione di esuli accolti è stato messo a dura prova: l’economia dello Stato e la sopravvivenza stessa dei cittadini ne hanno risentito. Qual è la vostra azione sul territorio?
R. – La situazione non è serena o tranquilla. È una grande sfida per il Libano, così come è un grande problema. Prima di tutto non possiamo negare che i libanesi sono stati molto generosi; hanno accolto molto bene i profughi. Ma adesso dopo sette anni di conflitto, non possiamo più dire questo, perché i libanesi sono senza lavoro: il 36 – 38 percento della popolazione si trova al di sotto della soglia di povertà; il 37 percento è senza lavoro. Di questi, la maggioranza sono i giovani. Dunque noi stiamo perdendo la potenza giovanile del Paese!
Quali responsabilità ritiene che la comunità internazionale abbia nella gestione della crisi?
R. – Già tutto il Medio Oriente si trova in una situazione di crisi. Non è una situazione di oggi, ma c’è da anni. La comunità internazionale, purtroppo, non ha potuto risolvere questo problema legato ai palestinesi, a Israele, al Libano, a tutta la zona del Medio Oriente. Dunque questo preoccupa molto. Qualsiasi problema o minaccia di nuova guerra si presenta provocherà molti danni e a pagare il prezzo saranno le persone più vulnerabili: poveri e altri. Dunque, quale sarà il risultato? Fare più guerre, fare più morti, fare più profughi? Se questa è la soluzione della comunità internazionale, mi dispiace, ma questa è la soluzione sbagliata. Dobbiamo operare per una vera giustizia in questo mondo; la gente non può più sopportare questo. Già l’economia è a terra.