Al Mithaq al Watani, il “patto nazionale”. E’ questa la pietra miliare del Libano indipendente, l’accordo non scritto che dal 1943 condiziona totalmente la politica del piccolo, ma strategico, stato medio orientale.
E’ secondo questo accordo, infatti, che la presidenza della Repubblica spetta ai cristiano maroniti, la presidenza del Consiglio ai musulmani sunniti, la presidenza del Parlamento ai musulmani sciiti.
Un patto rimasto alla base dell’intero assetto burocratico istituzionale del Libano, uno “stato confessionale” (“sectarian state”) in cui a ogni credo religioso ufficialmente riconosciuto viene riservato un posto nell’apparato pubblico, dalle burocrazie locali alle forze militari e di polizia.
E’ in base a questo accordo che lunedì, dopo circa due anni e mezzo di stallo, il Parlamento Libanese è finalmente riuscito ad eleggere il nuovo presidente della Repubblica. La scelta è ricaduta sul Generale Michel Aoun, il leader di una delle formazioni religiose cristiane più forti del Paese, “Movimento Patriottico”.
Capire la politica libanese, in questo blog l’abbiamo già ampiamente ripetuto, non è una pratica di semplice applicazione, anzi. E’ forse più un’arte, un qualcosa che non s’imparerà mai fino in fondo e che non finirà mai di stupire. Solo comprendendo questo si può intuire come il generale Aoun sia riuscito a farsi eleggere presidente riconciliando la maggioranza dei deputati cristiani dopo esser stato accusato, per anni, di essere uno dei maggiori artefici della loro divisione.
Capo dell’esercito libanese sul finire della guerra civile (1975-1990), Aoun viene nominato presidente del consiglio nel 1988 dall’ex presidente della Repubblica Amin Gemayel, fratello del più noto e amato Bachir Gemayel – presidente della Repubblica per 22 giorni prima di essere ucciso in un attentato – figlio di Pierre Gemayel, fondatore delle “falangi libanesi”, lo storico movimento cristiano da cui tutti gli altri movimenti maroniti sono discesi.
Dall’88 al ’90 Aoun diventa, quindi, Primo Ministro e, poi, presidente della Repubblica, in seguito alla fuga dal Libano del Gemayel che lo aveva nominato. In questi anni si applica in una dura lotta all’occupazione siriana del libano che, ufficialmente, ricopriva il ruolo di “Forza Araba di Dissuasione” su mandato della Lega Araba. Negli stessi anni, però, Aoun non ha esitato a combattere anche “Forze Libanesi”, la più forte milizia armata cristiana sul terreno che, poi, diventerà uno dei partiti più rappresentativi fino al giorno d’oggi.
Con la famosa rivoluzione dei cedri e la cacciata dei siriani dal Libano, nel 2005 Aoun torna in patria dove fonda il partito Movimento Patriottico diventando uno dei protagonisti della scena politica. A differenza del passato, in cui si era collocato in una posizione di antagonismo alla Siria di Assad, con la sua discesa in campo il Generale cambia strategia: entra nella coalizione chiamata “8 marzo” e di cui fanno parte anche i più forti alleati del regime siriano, gli sciiti di Hezbollah. E’ questa, forse, la sua mossa politica più azzardata, la più difficile da spiegare ma, forse, anche la più strategica alla luce dell’elezione di ieri.
Alcuni commentatori, tra cui Tom Perry e Laila Bassam di Reuters, hanno scritto che la sua elezione riavvicinerebbe il Libano all’Iran sciita e rafforzerebbe la posizione di Hezbollah. Un’analisi un po’ semplificatoria di un quadro politico ben più complesso. Se da un lato, infatti, è stato proprio Hezbollah il primo movimento ad aprire alla candidatura del Generale, dall’altro per molti mesi questa mossa è sembrata più un’ulteriore scommessa del partito di Hassan Nasrallah per cercare di dividere il campo maronita.
Non a caso, infatti, pochi avrebbero potuto pensare che il leader di Forze Libanesi, Samir Geagea, dopo i forti scontri con Aoun dell’epoca della guerra civile, avrebbe potuto accettare la proposta. E allo stesso tempo le diffidenze di Saad Hariri, figlio del noto primo ministro Rafiq e leader del movimento sunnita, sembravano chiudere le porte a questa possibilità.
Negli ultimi mesi, però, qualcosa è cambiato: Gaegea, forte oppositore di Hezbollah, ha accettato la possibilità Aoun pur di togliere il Paese dallo stallo in cui gravava da più di due anni e ha contribuito a convincere Hariri ad accettare la candidatura. Quello che ancora non è chiaro, soprattutto a noi occidentali abituati ad avere un approccio cinico alla politica, è la posta in gioco.
Cos’ha spinto Geagea ad accettare l’elezione del suo ex nemico? Solo in futuro sarà possibile scoprire le carte e capire se è stato solo un modo per ridare al Paese un Presidente o se la mossa rientra in un progetto più ampio.
Nel caso di Hariri, invece, è tutto più evidente. Aoun si appresta a nominare Saad, figlio di Rafiq, nuovo primo ministro del Libano.
Nei prossimi mesi, quindi, sapremo se le parole con cui gli Stati Uniti d’America hanno ufficialmente commentato l’elezione del nuovo presidente rimarranno solo la solita nota formale nei confronti di un Paese amico o qualcosa di più profetico: “gli Stati Uniti si congratulano con il popolo libanese per l’elezione del Presidente Michel Aoun in accordo con la costituzione del Paese. Questo momento rappresenta un’opportunità, per il Libano, per emergere dopo anni di empasse politica, per restaurare le funzioni del governo e costruire un futuro più stabile e prosperoso per tutti i cittadini libanesi”.