Il gruppo parlamentare di Hezbollah ha condannato l’annuncio del governatore della Banca centrale, Riad Salameh, sulla chiusura di 100 conti bancari legati al partito sciita. Salameh aveva spiegato che la decisione è da inquadrare nel contesto dell’applicazione delle sanzioni approvate a dicembre dal Congresso degli Stati Uniti.
“I nuovi tentativi degli Usa di eliminare la resistenza attraverso il settore bancario sono destinati al fallimento”, hanno detto i parlamentari dopo la loro riunione settimanale. “Il governo (del Libano) e la Banca centrale libanese (Bdl) sono direttamente responsabili per la salvaguardia della sovranità libanese”, hanno aggiunto.
Le sanzioni contro Hezbollah – inserito nella lista dei gruppi terroristici dall’Unione Europea, dal Consiglio di cooperazione del Golfo, Lega araba e Organizzazione della cooperazione islamica – si presentano come un problema complesso. Il Tesoro degli Stati Uniti attraverso il potente organo extraterritoriale Office of Foreign Assets Control (Ofac) ha attuato una serie di norme volte a concretizzare l’Hezbollah International Financing Prevention Act (Hifpa), il provvedimento per impedire il finanziamento estero del movimento approvato dal Congresso nel dicembre 2015.
Nel corso di un’intervista rilasciata l’8 giugno all’emittente statunitense “Cnbc”, Salameh ha detto: “Le banche hanno l’obbligo di chiudere immediatamente i conti delle persone o delle istituzioni presenti nella lista dell’Ofac, senza altre formalità supplementari”. Il governatore della Bdl ha ricordato le “violente reazioni” che ha suscitato l’attuazione della circolare, in particolare da parte di numerosi deputati del blocco parlamentare di Hezbollah. Questi ultimi, infatti, hanno accusato la Bdl di “piegarsi” ai dettami statunitensi e di “contribuire a una guerra di eliminazione interna”.
Salameh ha precisato che il modo in cui la Bdl applica il provvedimento statunitense è “razionale e giusto”, ricordando che “l’interesse del paese resta la nostra priorità in qualsiasi modo questo arrivi”. Dopo il voto dell’Hifpa di dicembre 2015, l’Ofac ha trasmesso alla Banca centrale libanese una lista con 99 nomi di persone fisiche e giuridiche libanesi colpite dalle sanzioni statunitensi, ovvero quelli i cui conti sono stati chiusi nei giorni scorsi. Salameh ha inoltre precisato: “Non mettiamo in discussione le decisioni dell’Ofac che applichiamo in modo automatico”. Come si legge in un editoriale del sito “Le commerce du Levant”, la Bdl non ha scelta se non applicare i provvedimenti se vuole preservare l’integrazione del settore bancario libanese sul mercato internazionale.
Un editoriale apparso sul quotidiano britannico “Financial Times” alla fine di maggio ha posto l’attenzione sulle ripercussioni delle sanzioni imposte dagli Stati Uniti contro Hezbollah per impedire al movimento di reperire finanziamenti dall’estero. I provvedimenti rischiano di acuire la tensione nel paese che vede sempre più concreto il rischio nuovamente risucchiato nel vortice della guerra etnico-religiosa attualmente in corso nella zone al confine con la Siria. Le sanzioni contro il movimento sciita filo-iraniano guidato da Hassan Nasrallah potrebbero estendersi a tutto il Libano, dato che la sua economia è dipendente dal dollaro e dalle rimesse della sua popolazione residente all’estero.
Il quotidiano britannico nota che le misure imposte dagli Usa non hanno lo scopo di minare la stabilità di un paese a rischio, ma le conseguenze “non intenzionali”, potrebbero produrre un fallimento dello Stato al pari degli interventi in Iraq e in Libia. L’editoriale sostiene che colpire direttamente il movimento significa tagliare fuori quelle banche libanesi che hanno affari con il partito o con individui legati ad esso.
Ad oggi la Banca centrale del Libano, una delle poche istituzioni ancora stabili del paese, preme affinché tutti gli istituti di credito rispettino la legge degli Usa. “Se non lo facciamo, il nostro settore bancario rischia di essere isolato dal resto del mondo”, ha dichiarato in passato il governatore Salameh. Per le sue dichiarazioni, i leader di Hezbollah lo hanno accusato di collaborare alla guerra in corso contro il movimento.
Le banche libanesi rappresentano circa il 7 per cento dell’economia e sono fortemente dipendenti dagli istituti statunitensi dato che oltre la metà dei depositi è in dollari che circolano legalmente al fianco di quelli in lira libanese. Gli istituti ricevono anche la maggioranza delle rimesse in dollari della popolazione all’estero, che secondo stime della Banca mondiale hanno rappresentato circa il 20 per cento dell’economia locale negli ultimi cinque anni, considerato che la cosiddetta “diaspora libanese” rappresenta circa tre volte la popolazione residente nel paese.
Principalmente il flusso di rimesse – a volte descritto come una sorta di fondo sovrano segreto del Libano – giunge dai paesi del Golfo e dall’Africa occidentale. Gran parte delle rimesse in dollari è inviata da espatriati musulmani sciiti e gli istituti di credito libanesi hanno sempre avuto anche in passato cautela nel trattare con tali soggetti proprio per non attirare l’attenzione dell’Ofac. Il secondo problema legato alle sanzioni riguarda la politica. Infatti Hezbollah è considerata la più potente forza politica del Libano, considerata alla stregua di “uno stato nello stato”. Intere aree del paese sono sotto il suo controllo, in particolare le province del Libano meridionale. Le milizie legate al movimento lavorano in molte aree insieme all’esercito per garantire la sicurezza del paese. Oltre alla forza economica e militare, Hezbollah è pienamente inserita nel governo e nel parlamento e vanta una fitta rete di scuole, ospedali, orfanotrofi e una serie di fondazioni per il sostegno delle famiglie dei combattenti uccisi. Secondo le stime, sono circa 400 mila le persone che ricevono un sussidio da Hezbollah, circa un decimo della popolazione libanese.