La recensione di “Lazzaro e la sua amata” di Gibran Khalil Gibran (1933)

La storia di Lazzaro è uno degli esempi più belli di come un avvenimento legato alla vita di Gesù sia diventato universale. Gesù, venuto a sapere che il suo amico era morto, si commuove e decide di “risorgerlo”. Davvero Lazzaro desiderava risorgere? Khalil Gibran, scrittore libanese degli inizi del ‘900, immagina un dialogo tra Lazzaro e i suoi familiari: nasce così quest’opera breve ma densa di riflessioni e di significato. L’autore, in “Lazzaro e la sua amata”, ci racconta del disagio della vita una volta che si è toccato l’Amore, di come la nostalgia del cielo, insita negli uomini di ogni epoca e di ogni latitudine, possa essere molto più pressante e presente una volta che si è toccato con mano il cielo, abbracciato l’Infinito, conosciuta la vera pace. Un’opera che interroga l’uomo nel profondo, arricchita in questa edizione dalla prefazione di Davide  Rondoni e, soprattutto, dalla postfazione del professor Bartolomeo Pirone. Poetico!

Il megafon

Racchiuso in una frase:
Fu la compassione, la compassione di sé che mi riportò indietro. Come è egoista la compassione di sé, e come è profonda. Dico che mi ribello. Dico che la divinità stessa non dovrebbe mutare la primavera in inverno. Ero corso per le colline in preda al desiderio, ma la vostra tristezza mi riportò indietro in questa valle. Avete voluto un figlio e un fratello perché restasse con voi per la vita. I vostri vicini volevano un miracolo. Voi e i vostri vicini, come i vostri padri e i vostri antenati, avreste voluto un miracolo, per poter credere nelle più semplici cose della vita. Quanto siete crudeli e come sono duri i vostri cuori e come è oscura la notte dei vostri occhi! Per questo rovesciate i profeti dalla loro gloria alle vostre gioie e poi li uccidete. (pp. 59-60)

Edizione Utilizzata:
GIBRAN, Lazzaro e la sua amata, Terra Santa, Milano 2019

Fonte Il megafono