Si sono svolti ieri in Libano i funerali dei cinque cristiani rimasti uccisi in un attentato kamikaze plurimo senza precedenti nella cittadina cristiana di Al-Qaa. Durante l’omelia, monsignor Elias Rahal, arcivescovo greco-melkita di Baalbek, ha affermato che «rimarremo in questa terra e non ci muoveremo, anche se dovessimo offrire 100 martiri ogni giorno».
«PERCHÉ OTTO KAMIKAZE?». Al-Qaa è un piccolo villaggio di 15 mila abitanti lungo il confine fra Libano e Siria. Lunedì 27 giugno, quattro attentatori dell’Isis si sono fatti esplodere nell’area a maggioranza cristiana, causando cinque morti e 16 feriti. In serata, altri quattro kamikaze si sono fatti esplodere, anche davanti a una chiesa, provocando 13 feriti. La domanda che il giornalista e scrittore libanese Camille Eid si pone è la stessa di tutti gli osservatori internazionali: «Perché mandare otto kamikaze in un giorno solo in una località poco importante come Al-Qaa?».
«COLPIRE I CRISTIANI». Parlando con tempi.it, l’esperto trova una sola risposta: «L’unica spiegazione è la volontà da parte dell’Isis di prendere di mira un villaggio cristiano. Ma cosa c’è dietro? Forse l’intento era quello di provocare un esodo di massa ma allora hanno fallito, perché hanno ottenuto l’effetto contrario». Già martedì, infatti, «una quarantina di macchine sono arrivate ad Al-Qaa da Beirut cariche di gente originaria del villaggio: volevano tornare a vivere lì per proteggere il loro paese. La gente ora si sta armando e starà più attenta».
CAMPO PROFUGHI. Secondo fonti non verificate, sette degli otto attentatori erano di nazionalità siriana. Il diffondersi di queste voci ha portato ad accusare il vicino campo profughi, dove vivono 30 mila siriani (in tutto i profughi in Libano sono 1,1 milioni, a fronte di una popolazione di quattro milioni). Ma il ministro dell’Interno ha subito precisato che i profughi non c’entrano niente. Per Eid, «è facile che tra i profughi ci siano degli infiltrati e l’esercito ha arrestato un centinaio di siriani per interrogarli. Bisogna aspettare per capire chi erano i colpevoli, non bisogna fare di tutta l’erba un fascio».
DESTABILIZZARE IL LIBANO. L’unica cosa certa è che l’Isis ha l’obiettivo di destabilizzare il Libano, un paese che già di per sé è fragile: da due anni infatti non c’è un presidente e dopo che Hezbollah è intervenuto in Siria per difendere il governo di Bashar al-Assad il paese si è spaccato. «Lo Stato islamico vuole trascinare in guerra Libano e Giordania», continua il giornalista libanese. «Non è un caso se gli ultimi attentati sono avvenuti in territorio libanese o contro soldati giordani. Inoltre, i jihadisti mentre perdono terreno, fanno sempre più ricorso agli attentati kamikaze: sto tenendo il conto, sono stati 83 in aprile tra Siria e Iraq e 119 in maggio». Fortunatamente, «il Libano ha ancora un esercito vigile, anche se nessuno è immune al 100 per cento».
«OGNI OBIETTIVO È LECITO». Resta la domanda di partenza. «Avrei capito se avessero attaccato a sud di Beirut, con lo scopo di punire Hezbollah e gli sciiti per il loro intervento a favore di Assad. Ma Al-Qaa non si è schierata né da una parte né dall’altra. Se iniziano a colpire anche i cristiani, cioè un gruppo che non c’entra niente, è ancora più grave. Significa che ogni obiettivo è diventato lecito, non ci sono più obiettivi fissi, e allora temo che assisteremo a un intensificarsi di attentati».
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