Ciclicamente il Libano è attraversato da difficili crisi sociopolitiche e istituzionali dovute a fattori interni che si intrecciano con dinamiche geopolitiche regionali ed internazionali.
I fattori interni sono spesso legati al fatto che il Libano si basa su un sistema sociale etnico-confessionale che condiziona la vita politica dei cittadini. Sono circa 20 le comunità religiose. I musulmani sono il 54%, metà sono sciiti e l’altra metà sunniti.
I cristiani sono all’incirca il 40%: la metà cattolici maroniti, il resto diviso tra greco ortodossi e cattolici e altre denominazioni cristiane. Oltre a questi due cospicui gruppi vi sono comunità minori ma altrettanto influenti sulla scena politica, come quella dei drusi.
Per legge, il capo dello stato deve essere maronita, quello del governo sunnita e la presidenza del parlamento spetta a uno sciita. Il posto del presidente della repubblica è vacante dal 2014 perché i maroniti sono divisi tra di loro. La parte maggioritaria guidata da Michel Aoun, fa capo alla corrente “8 Marzo” insieme agli sciiti di Hezbollah; l’altra, legata a Samir Geagea, è alleata con i sunniti del partito Al Mustaqbal di Saad Hariri nella corrente “14 Marzo”.
La crisi attuale è molto condizionata dal quadro geopolitico mediorientale. La regione attraversa dall’inizio del 2011 una profonda instabilità dovuta alle guerre e all’esplodere del terrorismo: due fenomeni correlati che hanno devastato la Libia, lo Yemen (di cui i media raccontano poco), l’Iraq – in fase di frammentazione etnica e religiosa – e soprattutto la Siria, con la quale il Libano è confinante. Quest’ultimo ha accolto dal 2011 a oggi un milione e mezzo di profughi siriani, in maggioranza sunniti: un numero enorme per un paese che conta meno di 5 milioni di abitanti e che già ospita 450mila profughi palestinesi.
Questo disastroso quadro regionale rischia di trascinare il Libano verso il baratro. Oltre alla crisi politica e a quella dei profughi, il paese deve affrontare anche il problema del terrorismo. Nel sud-ovest della Siria, l’esercito governativo siriano con l’aiuto di Hezbollah sta combattendo i jihadisti di al-Qaida, diversi dei quali sono fuggiti in Libano approfittando anche dell’esodo dei profughi. Oggi i terroristi sono già operativi nel confine con la Siria: nella località di Arsal, i jihadisti di Al Nousra, sostenuti da clan sunniti autoctoni, tengono in ostaggio soldati libanesi. E diversi attentati nel Paese sono stati rivendicati dagli estremisti di al-Qaida e del Gruppo Stato islamico (Is), come quello a Beirut nel novembre scorso.
Altre dinamiche regionali coinvolgono in primo luogo l’Arabia Saudita e l’Iran. Gli interessi contrapposti di questi due paesi nel Libano hanno finora ostacolato l’elezione di un nuovo capo di stato. Riyad sostiene il partito sunnita Al Mustaqbal di Saad Hariri, mentre Teheran appoggia Hezbollah, sciita, alleato con i cristiani di Michel Aoun. Il crescente ruolo geopolitico degli iraniani nel Medio Oriente – che sostengono l’Iraq, lo Yemen, la Siria, i palestinesi – preoccupa i governi saudita, israeliano e statunitense (e di diversi paesi europei).
Per contrastare tale tendenza, questa coalizione ritiene necessario colpire Hezbollah. In tal senso, il governo americano ha stabilito nel dicembre 2015 delle sanzioni finanziarie contro il movimento e ha lavorato per impedire alla sua tv Al Manar di trasmettere via satellite. In seguito, il Consiglio della cooperazione del Golfo e la Lega Araba, entrambi controllati dall’Arabia Saudita, hanno inserito Hezbollah nella lista dei gruppi terroristici e gli operatori di comunicazione satellitare Arabsat e Nilesat, rispettivamente saudita ed egiziano, hanno oscurato Al Manar (nel 2004, sotto la pressione del governo israeliano, Eutelsat, francese, prese lo stesso provvedimento).
Hezbollah gode di grande stima presso una parte importante dei libanesi (musulmani e cristiani) e anche di molti altri arabi (sunniti e sciiti). Oltre a difendere il paese, in mancanza di un esercito adeguato – intenzionalmente non attrezzato per far fronte al suo compito –, Hezbollah è impegnato nella lotta contro il terrorismo di al-Qaida e dell’Is sia in Siria che in Libano. E indebolirlo significa indebolire il Libano e consegnarlo in mano al salafismo jihadista. Tale scenario avrebbe gravi conseguenze non solo per il Medio Oriente…
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